La porti un catenaccione a Firenze

Roberto Beccantini5 novembre 2023

Uno prende il risultato di Fiorentina-Juventus (0-1) e lo scuote come un salvadanaio per «vedere» cosa c’è dentro, per sentire cosa tintinna. Un bel gol in avvio, il primo di Miretti in carriera, bello per l’azione (McKennie-Kean-Rabiot-Kostic) e al di là dell’esitazione fatale di Parisi. Fabio Miretti, il cocco del mister (l’ho letta).

Dopodiché, un catenaccione che rimanda all’epoca di Carosello, agli anni di una pubertà godereccia e spensierata; tutti terzini; Gatti, Bremer e Rugani in versione gladiatori; McKennie stampella e ventosa; Kostic addosso a Nico Gonzalez con Miretti a supporto; Kean di sentinella sulla trincea più lontana (?) dall’area. E Chiesa? Sembrava l’ospite che, invitato a una festa, non riesce a far ballare nessuna.

E una Viola in pressione costante, zanzaresca, senza Bonaventura per oltre un’ora (mah), sempre lì a menare il torrone, sempre lì a vellicare le barricate di Max. Una marea di cross, un pugno di corner, un sacco di tiri murati. Ma parate di Szczesny, due: su Nico e, soprattutto, sulla punizione di Biraghi. E poco ci è mancato, agli sgoccioli, che Cambiaso, di testa, siglasse il raddoppio, addirittura.

Prego risultatisti e prestazionisti di non scannarsi. Il calcio è questo, e il catenaccio non è reato (anche se non aiuta a crescere: in Europa, specialmente). Diranno che Italiano, alla terza sconfitta di fila, avrebbe dovuto fare questo e quello. Bravi, i professorini del sofà: il suo regno per un centravanti. La Vecchia ha giocato, ebbene sì, come Allegri predica in privato e censura, o comunque assolve, in pubblico. Da provinciale con l’elmetto, da amazzone ruvida e scontrosa, un po’ di legnate e via d’episodio. Sei partite, zero gol al passivo: c’è chi farà la ola. L’umile scriba prende doverosamente atto del tabellino e della classifica.
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Diavolo di un Arrigo

Roberto Beccantini4 novembre 2023

Arrigo non va matto per Simo, nel quale rivede ogni tanto – e magari l’ha rivisto pure a Bergamo – qualcosa di Max (quello della manita, naturalmente). Preferisce Stefi. Perché allena il Milan? Ai maliziosi l’ardua sentenza. C’è un dettaglio, però: l’Inter ha vinto persino fra le candele ardenti del tempio della Dea: 2-1. Non si risparmiava, la squadra del Gasp. Ma non tirava mai. Di Scamacca, per esempio, rammento sponde, non lecche. Non che la capolista incantasse. Per carità. Raccolta, vigile, timida, con Acerbi su Koopmeiners: ah, il calcio totale. Improvviso, il rigore: una sciocchezza di Musso su Darmian, talmente defilato che sarebbe bastato accompagnarlo, invece di tuffarglisi ai piedi. Il tocco-dentro era stato di Calhanoglu, che poi ha trasformato il penalty. Il turco è in formissima: regista, mediano e, se serve, addirittura terzino. Dimenticavo: Pavard, infortunato, da chi era stato sostituito? Da Darmian: ah, il destino.

Più impetuosa, la ripresa. Anche se, paradossalmente, al gol di Lau-Toro (il dodicesimo: gran destro, chapeau) l’ordalia sembrava chiusa. Tra parentesi, Gasp aveva appena ritoccato l’assetto. Com’è come non è, Scamacca – alla distanza, il migliore dei suoi – ha dimezzato lo scarto. La palla gliel’aveva fornita Lookman, passato attraverso un «kamasutra» con Dimarco molto, molto hard. E allora, sotto: parate (rare, ma cruciali) di Sommer e Musso, arrembaggi di qua, contropiedi di là. Sino al rosso, per cumulo, a Toloi. Cinque trasferte, l’Inter, cinque successi. Non proprio canzonette.

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Chi si è divertito e chi no

Roberto Beccantini29 ottobre 2023

Premessa: la scorsa stagione, all’epoca della grande bellezza di Spalletti, Napoli e Milan si erano affrontati quattro volte: due in campionato (2-1, 0-4, a scudetto in ghiaccio); due in Champions (0-1, 1-1). Una sola vittoria, dunque. Il 2-2 del Maradona è stato pirotecnico, vulcanico, divertentissimo. La qual cosa non significa perfezione. Tutt’altro: significa calcio.

Primo tempo, 0-2. Una decina di minuti di bollicine napoletane e poi Diavolo in cattedra. Cross di Pulisic da destra, testa di Giroud. Cross di Calabria da destra, testa di Giroud. Con Rrahmani a penzoloni come una bandiera a mezz’asta. Voce dal fondo: ah, quando c’era il Lusciano (e Kim, suggerisce la mia vena giocatorista). Che discorsi: Pioli un mago e Garcia un pirla. In effetti, Elmas interno sembra un’idea del menga e a centro ring dominano Reijnders, Musah, Krunic, eccetera. Fischi e, per il violinista, ghigliottina già in piazza.

Secondo tempo, 2-0. Mentre Pioli perde i pezzi (dopo Kalulu, Pulisic) e se la gioca con l’acerbo Pellegrino, al debutto, e Romero, Garcia li cambia: dentro Ostigard, Olivera e Simeone. Due punte, con Raspadori che svaria. I campioni s’inventano un quarto d’ora da marziani. Segna Politano, the best, pareggia Raspa su punizione. Il Milan si aggrappa alle corde, visto che persino Maignan ha dato segni di cedimento. Non uno che rinunci a vincere, però. Stefano richiama Zorro Giroud e Leao (non il migliore, ma uno che speri sempre che possa esserlo), Calabria sfiora il sorpasso, Orsato caccia Natan per doppio giallo, ma Jovic non è Giroud e così l’ultimo brivido lo offre Kvaratskhelia, murato dal portiere (toh). Kvara, già: raddoppiato da Calabria (puntuale) e Musah (prezioso), eppure sempre il dribbling portato come uno smoking.

Chi non tifa per Napoli e Milan è ancora lì che applaude. Ma i tifosi di Napoli e Milan? Basteranno metà Garcia e metà Pioli per alzare il calice? Dubito fortemente.